QUALI SONO GLI OBIETTIVI DELLA PSICOTERAPIA?

Quando una persona entra nello studio di uno psicoterapeuta, nella maggior parte dei casi lo fa perché, in quel particolare momento, sta vivendo una situazione di intensa difficoltà personale, spesso legata a difficili eventi di vita con cui è costretta a confrontarsi.

Per questo motivo il primo, tangibile obiettivo che la persona si aspetta di raggiungere, con l’aiuto di uno psicoterapeuta, è quello di essere aiutata nel superare, o quantomeno alleviare, i sintomi che l’hanno portata in consultazione.

In buona parte dei casi l’attenuazione della sofferenza personale, e quindi della sintomatologia a essa collegata, si realizza via via che paziente e terapeuta costruiscono una relazione in cui la persona si percepisce sicura e accolta, in cui sente di poter aprirsi liberamente e con fiducia verso chi l’ascolta in maniera attenta e non giudicante, e si prende cura delle sue sofferenze.

Tuttavia, spesso, il lavoro di “cura del sintomo” non esaurisce un percorso psicoterapeutico, ma ne rappresenta solo la parte iniziale. Se proviamo a rappresentare il lavoro terapeutico attraverso una metafora frequentemente utilizzata nel pensiero psicologico, possiamo affermare che, nel momento in cui paziente e terapeuta cominciano il loro lavoro cercando di comprendere le cause e il significato della sofferenza attuale della persona, è come se prendessero in considerazione unicamente la “parte emersa” dell’iceberg che rappresenta il funzionamento psichico di una persona.

La parte emersa, visibile, è tuttavia strettamente e indissolubilmente collegata a quella che sta sotto la superficie della nostra coscienza, e spesso ci è ignota. Quindi, per la coppia terapeuta – paziente, considerare la parte sommersa dell’iceberg, quella più profonda ed estesa, significa avere il coraggio di lavorare sulle fragilità e le vulnerabilità individuali che periodicamente, in varie fasi della vita, fanno capolino nell’esistenza della persona, e provare a farci i conti una volta per tutte, raggiungendo una più profonda conoscenza di sé che permetta di sentirsi, dal punto di vista psichico, maggiormente stabili e “attrezzati”.

Ecco perché, quando paziente e terapeuta decidono di proseguire il proprio viaggio insieme, concedendosi anche un tempo adeguato per precorrerlo, sono ulteriori gli approdi e le mete della navigazione: alcuni saranno strettamente individuali, e identificatori di quel particolare viaggio. Altri, invece, sono obiettivi terapeutici che sono comuni e trasversali a ogni percorso di cura; parlerò soprattutto di questi ultimi, riferendomi ai lavori di N. McWilliams (2002) e G. O. Gabbard (2018).

Alimentare la “libertà interiore”

La persona che arriva in consultazione, spesso vive la sensazione di essere pesantemente limitata, in diversi ambiti della vita, dalla propria sofferenza interiore (dalle proprie ansie e paure, dalle proprie ossessioni e compulsioni, dai propri vissuti depressivi). Tali vissuti spesso condizionano pesantemente, e negativamente, le sue scelte, le sue azioni, i suoi comportamenti e la sua vita relazionale.

È per questo motivo che un percorso psicoterapeutico mira ad alimentare il senso di una maggiore e più compiuta autonomia personale, che permetta alla persona di non sentirsi più in più in balìa dei propri vissuti, delle proprie emozioni o dei propri pensieri, ma di essere maggiormente in grado di riconoscerli, maneggiarli e controllarli (in termini psicoanalitici, di guadagnare una maggiore “forza dell’io”).

In altri termini, una psicoterapia mira ad aiutare la persona a riprendere in mano in maniera più consapevole e sicura il timone di sé stesso e della propria vita, e a seguire in maniera più libera la rotta che, ora, essa stessa può scegliere: “Ho imparato a non farmi troppo condizionare dal mio senso del dovere”, è una frase che esprime chiaramente l’acquisizione di un più forte senso di libertà interiore. Sviluppare un’adeguata forza dell’io significa aumentare in maniera significativa le proprie capacità di adattamento alla realtà.

Consolidare il senso di identità

Spesso le persone che iniziano una terapia lo fanno perché alcuni particolari eventi di vita, particolarmente dolorosi o stressanti, hanno contribuito a mettere a repentaglio il proprio loro di identità. Questi pazienti vivono esperienze di profonda confusione e disorientamento riguardo a quali siano i propri valori fondanti, i propri desideri e le proprie motivazioni, come se provassero la situazione di vagare in una nebbia in cui faticano a trovare solidi punti di riferimento che orientino il proprio cammino.

In questi casi, l’obiettivo della coppia terapeutica diviene quello di creare un pensiero condiviso che consenta alla persona di ricostruire un senso di identità personale maggiormente chiaro, forte, coeso e coerente.

Raggiungere una maggiore consapevolezza rispetto a ciò in cui crediamo, a ciò che desideriamo, e a cosa aspiriamo, in definitiva, ci aiuta a capire realmente “chi siamo”, e ci conferisce maggiore sicurezza e coraggio nell’affrontare le continue sfide che l’esistenza pone sul nostro cammino.

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Rafforzare l’autostima

L’autostima corrisponde al valore che diamo a noi stessi come persone, e al senso di competenza che ci riconosciamo nei vari ambiti della nostra vita. Si tratta di un aspetto della nostra vita psichica fortemente correlato alle conferme otteniamo dagli altri. Per questo motivo, l’autostima è un costrutto che, sovente, si dimostra particolarmente fragile, o quanto meno, facilmente influenzabile: esperienze relazionali dolorose e stressanti possono mettere a repentaglio, più o meno profondamente, la consapevolezza rispetto alle nostre capacità.

Un lavoro terapeutico significativo può aiutare a rafforzare l’autostima perché permette alla persona di mantenere saldo il senso del proprio valore personale anche attraverso l’accettazione dei propri limiti e dei propri difetti.

È difficile parlare con un terapeuta delle parti di sé di cui si va meno fiero, e che si vive con maggiore senso di vergogna. Nel momento in cui il paziente riesce a farlo, e si rende conto che il terapeuta può tranquillamente accettare e ragionare rispetto al significato di ciò, la persona impara  non vivere più queste immagini di sé come “voragini” che possono, in ogni momento, affossare il senso del proprio valore personale.

Una psicoterapia normalmente insegna alle persone ad accettare maggiormente le parti deboli di sé: ciò significa poterle integrare all’interno della propria immagine, senza che questi vissuti vadano a intaccare il senso del proprio valore personale. Un lavoro terapeutico, quindi, può aiutare a raggiungere una visione più oggettiva, realistica e integrata delle proprie competenze e delle proprie capacità personali.

Padroneggiare i propri vissuti emotivi

Può essere difficile fare i conti con le proprie emozioni, i propri sentimenti ed i propri affetti: alcune persone li vivono in maniera così diretta e potente da rischiare di esserne travolti. Altri, per la paura di non riuscire a maneggiarli, preferiscono cercare di disconoscerli, negarli o seppellirli dentro di sé: senza essere in grado di farvi i conti, quando qualche evento li fa riaffiorare sul palcoscenico della propria esistenza.

All’interno di un percorso psicoterapeutico, il terapeuta facilita la possibilità di parlare di qulasiasi cosa venga alla mente, anche di ciò che possa sembrare poco importante, sgradevole o imbarazzante. Ecco perché guardare insieme al terapeuta anche questa parte del proprio funzionamento interiore, può aiutare il paziente a migliorare la propria capacità di padroneggiare le proprie emozioni e i propri sentimenti.

Attraverso una psicoterapia, la persona può affinare le proprie capacità di comprendere ciò che prova, dal punto di vista emotivo, capire perché lo prova, ed essere maggiormente autonomo e libero gestire in maniera più matura e adattiva i propri vissuti, senza vivere il timore di esserne eccessivamente condizionato, o addirittura travolto.

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Comprendere il ruolo delle proprie “reazioni oggettuali interne”

Ogni persona tende a vivere i propri rapporti interpersonali mettendo in atto dei modelli (o schemi di relazione) plasmati su rappresentazioni di sé o degli altri che tendono a essere stabili e difficilmente modificabili, che sovente creano disagio anche in questa fondamentale area di vita.

Il lavoro terapeutico può aiutare il paziente a comprendere in che modo ed in che misura questi schemi inconsci condizionino la qualità delle proprie relazioni.  Può aiutare, inoltre, a dare nuovi e diversi significati a queste rappresentazioni di sé e degli altri.

In ultima analisi, quini, un percorso terapeutico mira a favorire la creazione di migliori modalità di relazione con le altre persone, che possono essere maggiormente equilibrate e adattive per la persona.

Migliorare la “funzione riflessiva”

Con il termine di funzione riflessiva, o capacità di mentalizzazione, si indica quella competenza personale che ci permette di capire più a fondo il comportamento di noi stessi e degli altri, comprendendo gli “stati mentali” che lo determinano, ovvero i sentimenti, le convinzioni, le intenzioni e i desideri che ne stanno alla base.

Un percorso psicoterapeutico si pone l’obiettivo di lavorare anche su questa dimensione, migliorando le competenze introspettive della persona, nei confronti di sé stessi e degli altri, sviluppando le capacità di non rimanere chiusi nella propria immagine del mondo, ma di cogliere e sintonizzarsi sull’esperienza e sui vissuti emotivi altrui.

La psicoterapia può quindi aiutare il paziente a comprendere e accettare maggiormente non solamente la propria complessa vita interiore, ma anche a sviluppare una maggiore empatia nei confronti dell’altro: quindi una maggiore capacità di comprensione, tolleranza e di rispetto nel confronto del mondo interno delle altre persone.

Riferimenti bibliografici:

  1. N. McWilliams: “Il caso clinico: dal colloquio alla diagnosi”; Raffaello Cortina editore, 2002
  2. G.O. Gabbard: “Introduzione alla terapia psicodinamica”, Raffaello Cortina editore, 2018

 

 

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