Cosa si intende per “comportamento autodistruttivo” e per “masochismo morale”?
I comportamenti autodistruttivi rappresentano una delle facce più enigmatiche della sofferenza psichica. L’idea che qualcuno possa infliggersi deliberatamente dolore e sofferenza, infatti, sembra contraddire un’evidenza manifesta, ovvero il fatto che l’essere umano cerca costantemente di perseguire il proprio benessere e la propria felicità.
Tuttavia l’esperienza clinica ci insegna che osservare esempi di condotte autodistruttive è tutt’altro che infrequente. Tali comportamenti possono palesarsi in forma chiaramente riconoscibile (ne sono degli esempi lampanti alcune dipendenze patologiche, o le condotte apertamente autolesive). Nondimeno, l’autodistruttività assume a volte forme decisamente più “larvate”, sottili, e spesso inconsapevoli: pensiamo ad esempio alle varie forme di autosabotaggio a cui molte persone ricorrono durante la propria vita, come la tendenza a perseverare ripetutamente in esperienze fallimentari e deleterie per la propria autostima, oppure alla tendenza ripetuta a porsi volontariamente nel ruolo di vittima all’interno di relazioni con persone violente.
Evidentemente, per alcune persone è estremamente difficile concedersi il pensiero di poter essere felici: è come se dentro di loro vivessero la convinzione (spesso inconscia), che sopportare una certa quantità di dolore sia un’esperienza imprescindibile e necessaria, una dimensione quasi ontologica della propria esistenza. Gli psicologi definiscono queste modalità di pensiero e di comportamento come “masochismo morale”.
Una persona moralmente masochista, tuttavia, non ama il dolore e la sofferenza: ma è disposta a tollerarli (o, a volte, a ricercarli deliberatamente) nella speranza che questi siano un viatico verso un bene maggiore. Ad esempio, la moglie maltrattata che rimane con un marito violento non prova nessun piacere in questa situazione: ma la sopporta, perché è convinta, spesso erroneamente, che così facendo riuscirà a tenere unita la propria famiglia, o eviterà l’abbandono, evento che, per il masochista, appare decisamente più doloroso della violenza e dei maltrattamenti.
Allargando la visuale oltre l’orizzonte intrapsichico, possiamo notare come alcune ideologie (sociali, politiche e religiose) diano un importante valore all’esperienza della sofferenza, come se la capacità di tollerare il dolore desse una sorta di patente di “superiorità morale”. Tali dottrine risultano particolarmente attrattive per i masochisti morali, in quanto offrono una giustificazione intellettuale ai loro desideri autodistruttivi inconsci.
In realtà, essere mentalmente disposti ad affrontare una certa dose di sofferenza, di rinuncia o di fatica per poter raggiungere uno scopo considerato come maggiormente importante, non deve certo essere considerato come una manifestazione patologica: ad esempio, una madre che, nel processo di accudimento del proprio figlio, si dimostra in grado di mettere in secondo piano i propri bisogni a suo favore, è sicuramente una persona capace di favorire il suo processo di crescita ed evoluzione.
Tuttavia, quando schemi di pensiero masochistici portano le persone a mettere in atto comportamenti autodistruttivi o autosabotativi, possiamo parlare di dinamiche francamente patologiche. Tali condotte, infatti, non favoriscono nessun tipo di cambiamento evolutivo e non portano nessun vantaggio personale e, nella maggior parte dei casi, tendono ad essere ripetitive, o a prendere la forma di spirali che si autoalimentano.
Come si originano e come possono essere trattati i comportamenti autodistruttivi?
Le personalità masochistiche sono spesso tormentate da un potente senso di colpa, totalmente inconscio oltre che decisamente irrazionale. Tale vissuto si genera da desideri che la persona considera per sé stessa evidentemente inaccettabili, e per i quali pensa, inconsapevolmente, di meritare severe punizioni; una sorta di “peccato originale” che la persona sente di dover espiare attraverso le punizioni che si infligge, e al prezzo della rinuncia alla felicità e alla propria piena realizzazione.
Proprio il fatto che questa dinamica psicologica sia inconscia, quindi misconosciuta dalla persona che la vive, fa sì che questo meccanismo di desiderio – colpa – espiazione tenda ad essere continuamente ripetuto. In questa situazione di “eterno ritorno”, il masochista morale non riuscirà mai ad arrivare alla di una definitiva espiazione della propria colpa originale, e si sentirà quindi in dovere continuare a reiterare le proprie condotte autodistruttive.
Ulteriore dinamica psichica che alimenta il masochismo morale è la ricerca “anticipata” della punizione. Pare che il masochista viva nell’irrazionale convinzione che, se egli si autoinfligge in anticipo una punizione per quello che, sicuramente, farà di sbagliato, o per le ulteriori colpe di cui andrà nuovamente a macchiarsi, ciò gli consenta di percepire un maggiore senso di controllo, quindi, in definitiva, di alleviare il dolore della punizione stessa: “sicuramente fallirò o sbaglierò; meglio quindi castigarmi subito: via il dente, via il dolore!”
I masochisti morali, infatti, vivono la profonda convinzione di essere destinati ad essere sempre fraintesi, maltrattati e mai apprezzati; le persone che stanno a loro vicini, sono spesso particolarmente indispettiti rispetto al fatto che, spesso, li percepiscono come disinteressati a cambiare il loro destino, e particolarmente affezionati alla propria autocommiserazione. I masochisti, infatti, normalmente indugiano volontariamente nel mantenimento della propria situazione di sofferenza, come se ne ricavassero un sentimento di “superiorità morale”, ed alimentassero la propria autostima attraverso la dimostrazione delle proprie capacità di sopportazione.
Il comportamento autodistruttivo, peraltro, è spesso volto a richiamare l’attenzione degli altri per coinvolgerli nel processo masochistico: quasi che provocare reazioni di risentimento ed irritazione sia la modalità prediletta che il masochista conosce per mantenere in vita la relazione con l’altro, nel costante timore di un possibile abbandono.
Nel momento in cui questi potenti meccanismi inconsci si saldano nella testa del masochista morale, egli tenderà a rimettere in atto pervicacemente degli schemi comportamentali fortemente disfunzionali, basati sulla falsa convinzione che si possa avere un maggiore controllo sulla propria vita transitando nella via della sofferenza piuttosto che su quella della ricerca del benessere.
Bisogna riconoscere che aiutare la persona masochista a modificare i meccanismi che sono alla base dei comportamenti autodistruttivi non è un lavoro psicoterapeutico facile. Quando questi sistemi di funzionamento mentale hanno avuto il tempo di stabilirsi saldamente, si dimostrano particolarmente tenaci e refrattari al cambiamento.
Il trattamento dei comportamenti autodistruttivi passa attraverso un certosino lavoro di presa di consapevolezza del proprio senso di colpa inconscio, e attraverso la comprensione e l’accettazione dei propri desideri inconsapevoli (vissuti come intollerabili e peccaminosi) che hanno continuato ad alimentare, nel tempo, questa complessa costellazione psichica.
Tutti gli psicoterapeuti sanno quanto questo lavoro possa essere faticoso; peraltro, sanno anche che aiutare queste persone è tutt’altro che impossibile: se il lavoro terapeutico è alimentato da un sincero desiderio di evoluzione personale nel paziente, è possibile promuovere cambiamenti profondi che lo aiuteranno a permettersi di essere felice.
Bibliografia:
N. McWilliams, “La diagnosi psicoanalitica”, Astrolabio, 2012